La Brigata - Unità di Strada: intervista a Matteo Zagaria - itSalerno

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INTERVISTE

La Brigata – Unità di Strada: intervista a Matteo Zagaria

Volontari de La Brigata in macchina

Bob Marley diceva “Vivi per te stesso e vivrai invano, vivi per gli altri e ritornerai a vivere”. In un momento del genere, la crisi sanitaria che stiamo attraversando deve farci riflettere su quanto noi siamo fortunati e su quanto altre persone, purtroppo, no. La diffidenza verso gli altri che caratterizza questo periodo non deve essere una scusa per dimenticarci che siamo tutti esseri umani nello stesso mondo. E come tali, nessuno deve rimanere indietro. Così, la Brigata – unità di strada ha trovato la sua vocazione. Ce ne parla Matteo Zagaria, uno dei volontari de La Brigata.

Quando nasce l’idea de La Brigata?

La Brigata – Unità di strada nasce nel gennaio 2019 dall’idea dell’associazione Marea circolo Arci di occuparsi e trattare il tema della povertà operando sul campo e facendo in proposito delle riflessioni socio-politiche sulla povertà. La povertà assoluta in questo caso. In quel periodo abbiamo contattato l’associazione “Venite libenter” di Rossano Braca a cui chiediamo di fare qualcosa di utile e ci offriamo volontari per una raccolta di indumenti. All’epoca l’associazione Venite libenter gestiva La banca degli abiti, una raccolta, in inverno, di abiti e coperte da donare ai senzatetto che vivono in strada. Veniva fatta alla chiesa della Madonna della Medaglia Miracolosa. Tuttavia lui ci disse che non era una cosa necessaria. La cosa più importante era coprire una sera tra le serate settimanali, che era l’unica scoperta dalle Unità di strada delle varie associazioni che facevano distribuzione di beni e pasti ai senzatetto. Era il sabato. Decidemmo di lanciare un appello dalla pagina Facebook di Marea a cui risposero sorprendentemente tantissime persone, tanti ragazzi, pochi dei quali si conoscevano già tra loro. La maggior parte sono conosciuti tramite la risposta a questo appello al volontariato.

Con quali idee nasce?

L’idea nasce da dei concetti semplici: la prima è che nessuno in questa società deve vivere costretto a salvarsi da solo. Ci deve essere sempre l’aiuto della comunità. Questo credo, seguendo un altro principio ancora, si unisce all’idea che la povertà non è un crimine e non deve essere trattata come tale. I migranti, i cosiddetti accattoni, i mendicanti e persone che vivono in strada non devono essere criminalizzate, ghettizzate, multate, in nome del decoro. La riflessione parte da prima, in realtà dal 2017, dopo un atto gravissimo da parte di un vigile urbano. Sequestrò coperte e cartoni ad un senza tetto durante il periodo di Luci d’artista in nome del decoro urbano.

E quali altre idee ci sono?

Un altro principio che seguiamo è quello che della povertà se ne deve parlare. Bisogna che cause, effetti e il fenomeno sociale siano pubblicizzati, affrontati, approfonditi perché sono gli elementi che ci dicono come dei cittadini possono rimanere indietro nei confronti di una società che avanza e si sviluppa in modo multidirezionale. Su questi principi nasce la Brigata. Il riferimento sottile non è tanto alle Brigate rosse ma  al lavoro di chi ha fondato questa Repubblica e dunque di chi ha lottato per essa e per la liberazione. E’ un piccolo omaggio alle Brigate partigiane. Inizialmente abbiamo scelto il nome Brigata del sabato, poi dopo un discorso complesso siamo ai giunti alla conclusione di Brigata – Unità di strada. Avevano il nome brigata anche le Brigate dei corpi di pace inviati dall’Onu e dalle varie ONG nei conflitti aperti, come ad esempio la guerra in Kosovo. E’ un concetto che richiama molto alla solidarietà e all’attivismo solidale.

Come vi organizzavate prima del Coronavirus?

Noi facciamo ogni settimana due operazioni: come prima cosa distribuiamo beni e cibo e in strada, poi nei dormitori. Ad esempio operiamo in qualche dormitorio attivo come quello della Caritas o quello dei Missionari Saveriani a rione Petrosino. Portiamo pasti preparati da una fitta rete di cucine solidali di persone che magari non sono per forza attive in strada ma mettono a disposizione il proprio tempo e la propria cucina per fornire i pasti: primo, secondo, acqua e dolce. Poi facciamo un altro tipo di attività: in rete con tutte le altre associazioni che sostengono i senza fissa dimora creiamo dei percorsi di accompagnamento di persone in casi particolari di disagio che hanno bisogno urgenti o meno urgenti di essere accolti nelle strutture ad hoc, magari per dipendenze o per demenza senile o per gravi rischi sanitari. Li accompagnamo sostanzialmente in un percorso verso il colloquio con i servizi sociali, che poi a loro volta li indirizzano in delle strutture ad hoc convenzionate con i servizi sociali. Abbiamo stretto un vero e proprio rapporto confidenziale ed affettivo con molti di loro. Quindi facciamo anche supporto e sostegno umano, a volte ai limiti della psicologia, come si farebbe chiaramente per un amico.

La Brigata Al Palatulimieri

Adesso vi dividete tra il lavoro per le strade e quello al Palatulimieri. Come si svolgono le due diverse attività?

Con il Coronavirus inizialmente c’è stata una fase in cui c’era sbandamento iniziale e non sapevamo cosa fare ma al tempo stesso non volevamo lasciare da soli i beneficiari della nostra azione. Insieme alle altre associazioni sottoscriviamo una richiesta al Prefetto e al Comune per vedere riconosciuta la nostra attività. Quasi contemporaneamente al riconoscimento più o meno formale e ufficiale da parte del Prefetto esce un’ordinanza regionale, la numero 13 del 12 Marzo. Al punto 1.3 si dice che possiamo operare e che tutte le attività di questo settore possono proseguire. Poi aderiamo alla campagna “Io vorrei restare a casa” per tutti quelli che a casa non ce l’hanno. A supporto di questa facciamo un’altra lettera aperta alle istituzioni in cui chiediamo una soluzione per i senza tetto, una struttura. A quel punto otteniamo quello che vogliamo e aprono il PalaTulimieri. In quel frangente ci dividiamo tra la strada e il PalaTulimieri.

Alcuni attivisti iniziano il proprio lavoro al PalaTulimieri e altri lo proseguono in strada. In strada la nostra attività diventa diversa perché non abbiamo più la possibilità di avvicinarci e di dialogare con i senza tetto. Si perde metà del lavoro che nella ordinarietà facciamo, che è quella del confronto, della chiacchierata, dell’affetto. Quindi aggiungiamo alla consegna dei pasti anche un kit sanitario d’igienizzazione e precauzione con mascherine, guanti, igienizzanti, salviettine. Abbiamo tante richieste di partecipazione da parte delle persone che stavano a casa, anche da quelle che non ci conoscevano ma che si sono attivate proprio per questa emergenza. La cucina si mantiene in piedi anche grazie a loro.

La Brigata: volontari in azione per le strade

Al tempo stesso al PalaTulimieri invece ci sono altri volontari de La Brigata. Si è avviata un’avventura bellissima perché col tempo ci siamo resi conto che oltre ad essere una vera e propria convivenza con gli utenti, con i senza fissa dimora che sono lì, è diventata una comunità e una grande occasione, pur stando nel dramma dell’emergenza di una pandemia. Infatti, approfittando di questa eccezionalità avviamo un percorso di confronto per fare cose che i senza tetto non facevano da chissà quanti anni, come per esempio il pranzo di Pasquetta. L’abbiamo fatto tutti insieme.

Ora forse, paradossalmente grazie a questo avvento del Coronavirus, riusciamo a cambiare il percorso di vita delle persone che fino a prima dell’emergenza non riuscivano ad avere una casa. Ora invece grazie ai colloqui che stanno facendo i servizi sociali, sulla base di loro richieste, stiamo elaborando dei piani per il futuro. La cosa bella è che loro prima non avevano minimamente la consapevolezza e la coscienza rispetto all’essere inseriti in un contesto sociale, in una vita che non è fatta solo dal presente, dal campare alla giornata, ma finalmente anche da un futuro.

La Brigata - Volontari che comprano cose

E’ ripartito il meccanismo di progressione, di progressività della vita dell’uomo che ad un certo punto esce dalla sua condizione di soggetto-individuo, che vive ai bordi delle strade pensando solo al presente rimuginando sul passato, e ad un certo punto si attiva il meccanismo del futuro, della prospettiva, del guardare davanti e vedere che davanti a sé ha un orizzonte realizzabile. Questo è stato reso possibile grazie ad un grande lavoro di umanità, ad un rapporto di connessione con le loro menti e con i loro vissuti, con loro esperienza, tramite tanti momenti che non fossero solo mera assistenza ma anche di svago, con sport, film, libri, riviste, dibattiti, centro d’ascolto o supporto grazie anche agli Avvocati di Strada. Abbiamo dato loro anche delle SIM per soddisfare il proprio diritto all’informazioni. Tantissime cose che senza questa sciagura non sarebbero state possibili.  

Qual è la cosa più difficile che avete dovuto affrontare per portare avanti la vostra attività de La Brigata?

La cosa più difficile è sicuramente la mancanza di tutela da parte di Prefettura e Questura. Non veniamo riconosciuti e a quel punto ci sono danni per noi volontari, come quello che è accaduto a me.

La settimana scorsa, come tutti i giorni, avevo con me l’autocertificazione che attestava la motivazione della mia circolazione. Di fatto, successivamente, mi sarei recato al Palatulimieri, la struttura comunale aperta per i senzatetto, presso la quale da circa 2 mesi sono attivo quasi h24.

Io e un altro volontario, quel giorno, abbiamo ricevuto una ammenda di 280 euro per assembramento mentre uscivamo da un distributore al quale avevamo prelevato un caffè. Rei di non aver chiesto, durante un diluvio, alle due persone ferme sull’uscio intenti a ripararsi dalla pioggia, di andare via, per permetterci di consumare.

In questo particolare momento di crisi, è difficile avere fiducia nelle altre persone, con il pericolo costante di venir contagiati. Nel nostro piccolo, cosa può fare ciascuno di noi per aiutare La Brigata e gli altri, superando la barriera della diffidenza?

Le persone devono parlare di quello che sta accadendo e del fatto che la crisi del capitalismo ha degli aspetti sociali che pagano in pochi. Gli ultimi stanno pagando le conseguenze. Dobbiamo parlarne, partecipare il più possibile anche a distanza, c’è la necessità di rendere le persone sensibili rispetto a questo tema. Gli ultimi della catena sociale rischiano di pagare questa crisi che si sta abbattendo su di noi.

Qual è la cosa più bella che il volontariato comporta?

E’ difficile dire quale sia la cosa più bella. Direi innanzitutto imparare delle cose dalle persone che non hai mai conosciuto che sono ai bordi della società ai margini. Hai l’occasione di conoscere e di apprendere da loro. Loro che non parlano perché sono imbavagliati, che sono invisibili perché vengono nascosti. Nella stragrande maggioranza dei casi sono persone adulte o ultra-adulte, quasi anziane, che hanno vissuto tante cose. Un’altra cosa bella è sicuramente quanto ti rendi conto di aver risolto un problema a loro.

Non ti aspetti la gratitudine perché in questo campo conta fino a un certo punto. Io non lo faccio perché mi aspetto qualcosa anche se senz’altro un riconoscimento è qualcosa che fa effetto. E quindi vedi che queste persone si stanno riuscendo ad aprire con te perché non rapporti stretti, non hanno legami affettivi. Non vanno sicuramente dallo psicologo perché non possono e nessuno glielo manda psicologo quando vivono in strada. Quando vedi che sei riuscito a fare breccia e a fargli cacciare quello che hanno dentro è davvero molto bello. E, ancora, quando vedi che stai facendo da ponte tra loro, il sistema, l’ordinamento e lo Stato, garantendogli un diritto che non gli viene garantito è una cosa bellissima.

La Brigata – Unità di Strada: intervista a Matteo Zagaria ultima modifica: 2020-05-04T09:00:00+02:00 da Elena Morrone

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