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INTERVISTE

Immersione sensoriale al Re:hub

Re:hub è innovazione e tradizion, Re:hub è riutilizzo e nuove idee, Re:hub è accoglienza e casa. Re:hub, situato a Baronissi, è un locale dalle fondamenta antiche ma traboccante di modernità. E saprà affascinarvi già dalla prima mattonella.

Re:Hub

Re:Hub

La storia del Re:hub

Aperto ufficialmente a giugno, il Re:hub è nato dall’idea di tre amici, Julien, Manuel e Ottavio. Il locale è stato lasciato quasi intatto dal suo status iniziale di tabacchificio del 1937.
Ora, il center è un gioco di luci e colori, per un’immersione completa e sensoriale. Tra panini di ottima qualità e con ingredienti nostrani, cocktail sopraffini e invitanti, il Re:hub è sinonimo di ingegnosità. L’ambiente, apparentemente spoglio, si riempie di proiezioni sempre diverse che lo rendono molto dinamico. Il fascino industrial è infine un tocco di mistero che lo rende unico nel suo genere.
Anche la programmazione musicale lo rende una meta accattivante per i fan dell’elettronica. In programma, infatti, ci sono tanti nomi imperdibili, come Regina e Ruhig il 22 settembre o i Diaframma il 30 settembre.

Re:Hub

Re:Hub

Il Re:hub spiegato dai rehubbers

Riaperto dopo una pausa estiva, il Re:hub ha scelto di essere il portabandiera di un riutilizzo intelligente, per non sprecare nulla.
Ben radicato nel territorio, ha come motto ‘pensa globale, agisci locale’. Infatti, rivolge lo sguardo allo stile fuori dall’Italia ma con tante speranze per la zona.

1) A cosa è dovuto il nome Re:hub

Il nome è partito da re-abilitazione. Il concetto è stato un bel po’ filosofico, prima del locale stesso abbiamo pensato prima ad una corrente di pensiero. Siamo partiti da uno studio indotto di quello che era lo scenario socio economico e culturale che stiamo vivendo tutt’ora. Abbiamo iniziato a pensare al piccolo, per creare anche un senso di appartenenza al territorio. Quindi cos’è il riutilizzo? Usare il vecchio cemento, innanzitutto, abbiamo lasciato intatto il capannone dandogli un nuovo utilizzo. Re:hub era appunto riabilitare cose e quindi  le persone. Con i nostri grafici abbiamo scomposto la parola in re:  food, music, live, hub.

2) Come mai questo stile industrial?

Era già così, proprio perchè l’idea di base era lasciare la struttura com’era. Inizialmente la cappottiera era un silos che doveva essere venduto, i vetri delle finestre erano i vetri che c’erano prima nel tabacchificio. I due container vengono dal porto e quando l’abbiamo comprato era pieno di ceci, ci abbiamo messo due giorni per ripulirlo. Noi abbiamo dato semplicemente un nuovo senso.

3) Tutti questi oggetti che sono qui, come li avete ritrovati? Dai divani vintage ai tavolini?

Guarda forse sono gli oggetti che hanno trovato noi, ci sono quasi caduti addosso. Abbiamo amici che ci hanno regalato i divani o divani che vengono dalle hall degli alberghi. Non è stata una scelta mirata. Li abbiamo semplicemente riutilizzati. Il divano all’interno ad esempio ce l’ha regalato il titolare della ditta che ha lavorato qui. Infatti abbiamo nominato i panini con i nomi delle persone che ci hanno aiutato.

4) Qual è l’esposizione più strana che avete fatto?

Innanzitutto c’è da dire che abbiamo scelto di non appendere quadri o ornamenti fissi proprio per dare una certa dinamicità al locale, tramite queste continue proiezioni di luci e disegni. Ciò per dire anche che l’arte ha una fine e si ricrea. A dicembre, il Comune di Baronissi ha avviato il progetto Costellazioni infinite. Volendoci allacciare anche al sociale, noi abbiamo dato una nostra rivisitazione. Si sono uniti un artista dell’Accademia di Brera di Costellazioni infinite e Andreas che ha curato le visual art con fronde di limoni e altri alberi. Unendo l’aspetto fisico della lana dell’artista lombardo e la parte visual, ci si trovava immersi in una costellazione di alberi nostrani.

5) Il gruppo più strano che avete ospitato?

In effetti non ce n’era uno normale. Te ne diciamo uno normale che forse è meglio. Scherzi a parte, tornando seri, Ottavio ha curato la programmazione. Abbiamo ricercato in lungo e largo inediti, volutamente, chi aveva voce doveva avere la sua propria voce. Quello più strano è stato Be a Bear, era un ragazzo toscano che ha fatto il suo album con l’iphone. Lui suona e canta con una maschera da orso e quando è venuto qui ha montato un piccolo proiettore con immagini sue. Suonava una chitarra che si è costruito da solo, piccola e bruttina. Accompagnando la sua musica indie pop elettronico, di uno stile forse indefinibile, si sedeva sullo sgabello e si preparava una moka del caffè. Mentre girava il video si andava a sedere vicino alle persone e si beveva il suo caffè.

6) E le persone più strane che avete visto come clientela?

La prima sera stavamo chiudendo due ragazzi nel container al party diagonal. Ma comunque abbiamo notato che quando si entra qui dentro si avverte proprio aria di libertà e infatti le persone si sentivano così.

Infatti, è proprio la libertà di espressione e divertimento che ti pervade appena si solca l’ingresso del locale. Lo stile originale, il fascino dell’unicità e la cortesia dello staff, rendono il Re:hub un posto imperdibile.

Immersione sensoriale al Re:hub ultima modifica: 2017-09-20T08:08:17+02:00 da Elena Morrone

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